L'intervento di chiusura dell'anno presidenziale in Gran Consiglio di Nicola Pini

Sembra ieri che ho ricevuto la campanella da Daniele Caverzasio ed è già tempo di passarla, simbolicamente, nelle mani di chi mi succederà nel ricoprire questa importante carica istituzionale. Un anno che è volato in tutta la sua intensità,

  • Intensità di sedute parlamentari: 12 sedute per un totale di 230 trattande (e come dimenticare la maratona di oltre 11 ore filate per il Preventivo 2022, con mascherine, plexiglas e buvette chiusa);
     
  • Intensità di riflessioni e novità procedurali, dalla nuova prassi sulle mozioni a quella sulle interpellanze, entrambe volute da questo parlamento, che forse in un futuro non troppo lontano dovrà chinarsi nuovamente – e criticamente – sulla Legge sul Gran Consiglio;
     
  • Intensità di elezioni e dichiarazioni di fedeltà alla costituzione e alle leggi, dai magistrati eletti da questo Gran Consiglio a quello di un ticinese, Ignazio Cassis, alla Presidenza della Confederazione dopo decenni di assenza di un rappresentante della Svizzera italiana.
     
  • Intensità di incontri con i parlamenti di altri Cantoni. Abbiamo ospitato Appenzello Interno e la deputazione del Grigioni italiano al Gran Consiglio retico, mentre siamo stati nel Canton Friborgo, dove abbiamo incontrato anche Università e studenti ticinesi, e proprio in questi giorni, pare per la prima volta, quali ospiti del Gran Consiglio del Canton Glarona per la Landsgemainde. Permettetemi di dire, ancora sulle ali delle emozioni di ieri, un interessante esempio non solo di coinvolgimento democratico, con la presenza di molti giovani e bambini, ma anche di un sano e rispettoso dibattito civile.
     
  • Ma soprattutto intensità di incontri, discussioni, dialogo e ascolto sul territorio, con le cittadine e i cittadini del nostro Cantone. Aspetto, questo, purtroppo ridimensionato rispetto al passato a causa dell’emergenza legata alla diffusione del coronavirus, ma al quale mi sono comunque dedicato con apertura e passione.

Non sono poi mancate le sorprese. Di certo, se qualcuno di voi, un anno fa, mi avesse detto che in quest’anno di Presidenza avrei dovuto aprire una seduta di Gran Consiglio condannando una guerra in Europa, qui vicino a noi, non gli avrei creduto. Eppure è successo, e ancora succede, purtroppo. Così, dopo anni di stabilità, che avevamo  forse scambiato per normalità, ci stiamo nuovamente rendendo conto – dopo la sberla della pandemia – che pace, democrazia, coesione, libertà e benessere sono eccezioni, per di più preziose e fragili.

D’altronde lo sapevamo già. Le Istituzioni e le democrazie possono logorarsi, se non crollare, se la politica non si preoccupa di rinnovare costantemente le loro fondamenta. Se non si rinnovano, se non si aprono, se non dialogano, se non coinvolgono si indeboliscono, e le società si sfaldano. Proprio per questo, vi ricorderete, all’inizio della Presidenza mi ero ripromesso, e vi avevo promesso, di cercare di avvicinare i giovani alle Istitutioni, ma anche quest’ultime tra di loro (legislativo ed esecutivo, ma anche Cantone e Comuni).

  • Per avvicinare i giovani alle Istituzioni
    • ho per quanto possibile incontrato le scuole (a tutti i livelli: elementari, medie, professionali, università);
    • ho partecipato a quel bellissimo progetto che è la Gioventù Dibatte e seguito i lavori del Consiglio cantonale dei giovani;
    • ho scritto ai giovani atleti ticinesi che si apprestavano a partecipare alle Olimpiadi (e ha portato bene se pensiamo ai risultati);
    • abbiamo implementato – da oggi e dopo decisione di questo Gran Consiglio – la messa a disposizione delle riprese video dei lavori parlamentari, che sono sicuro potrà essere uno strumento didattico per le scuole, oltre che di trasparenza civica.
    • Per avvicinare le Istituzioni, ho in primis cercato di creare un punto di incontro e scambio tra legislativi, scivendo ai Presidenti di assemblee e Consigli Comunali, incontrandoli e favorendo la loro messa in rete, dalla quale è emersa la necessità di una rinnovata centralità politica dei legislativi, con la volontà di essere maggiormente coinvolti nelle decisioni strategiche, di veder maggiormente seguito e valorizzato il proprio lavoro, di poter instaurare un dialogo costruttivo, anche informale, con l’esecutivo, e laddove possibile anche con la cittadinanza.

In quest’anno di Presidenza – nelle interviste, nei discorsi ufficiali, nelle tavole rotonde, nelle conversazioni di tutti i giorni – ho inoltre cercato di veicolare un messaggio, che ritengo una priorità, se non una necessità di oggi. Quello del dialogo, dell’ascolto, del rispetto e dell’empatia. Del mettersi nei panni dell’altro, del camminare per qualche metro con le scarpe degli altri, di guardare (e vedere) chi ci sta di fronte, ma anche il territorio, con nuovi occhi. Dell’andare

  • oltre i pregiudizi,
  • oltre gli algoritmi dei social che ti fanno leggere solo notizie che confortano la tua tesi,
  • oltre il fatto che chi ci sta davanti ha fatto una scelta diversa dalla nostra, o ha un’opinione diversa dalla mia;
  • oltre il nostro orticello, oltre il nostro interesse puntuale o personale.

Del considerare insomma le pluralità, le diversità che ci fanno crescere e che compongono – e arricchiscono – la nostra società. Solo così avremo infatti una società coesa, un Ticino unito, e non solo per l’apertura del tunnel di base del Ceneri. In altre parole, l’applicazione non solo politica ma anche quotidiana di quel Uno per tutti, tutti per uno con il quale ho iniziato l’anno presidenziale.

Un motto che ha forse trovato la sua migliore e più emozionante concretizzazione in quest’aula al momento del voto per l’inserimento nella Costituzione cantonale dell’articolo sull’inclusione delle persone con disabilità e sul riconoscimento della lingua dei segni italiana, quando ho visto – sì, ho visto – applaudire sulle tribune e anche tra i banchi del Gran Consiglio, le braccia vibranti al cielo. “Ho la pelle d’oca” ha detto la responsabile della Federazione Svizzera dei sordi, e confesso, l’ho avuta anche io.

Mi avvio alla conclusione.

  • GRAZIE, Colleghe e Colleghi, per avermi seguito e rispettato.
  • GRAZIE per avermi perdonato qualche errore. Ho sempre cercato di preparare al meglio le sedute e soprattutto di servire questa importante carica istituzionale con rigore, giustizia, equità e imparzialità, ma non certo infallibilità, e di questo mi scuso.
  • GRAZIE al Consiglio di Stato per la considerazione sempre garantita.
  • GRAZIE all’Ufficio Presidenziale e in particolare alle Vicepresidenti, che ho sempre percepito accanto a me e che non mi hanno lasciato solo.
  • GRAZIE alla squadra del Segretariato e a tutto il personale dei servizi del Gran Consiglio, che merita la nostra gratitudine per il grande lavoro che svolge. Non potendo ringraziare tutti personalmente, permettetemi di limitarmi a uno di loro, Sergio Thoma, il nostro usciere. Grazie Sergio per il tuo forte senso delle Istituzioni, che è contagioso, e chi ha avuto l’onore di essere accompagnato da te in veste ufficiale sa di cosa parlo, e sa quale sia la luce riflessa negli sguardi di chi ti guarda, in particolare i bambini.  
  • Grazie infine alla mia famiglia, che ho sempre sentito accanto a me – o davanti a me – in questo intenso anno presidenziale. Grazie in particolare ad Angela, che è molto di più di una compagna di vita, è una continua ispirazione e una bussola etica; grazie a Furio, che è stato spontanea parte attiva in questa avventura istituzionale; e grazie a Clino, che con il suo attendere di nascere ha tenuto sulle spine anche la Vicepresidente La Mantia, pronta a sostituirmi durante la seduta di settembre.

Entriamo dunque ufficialmente nell’ultimo anno di legislatura, un anno elettorale. Colleghe e Colleghi, Consiglieri di Stato, nei prossimi mesi

  • non cadiamo nelle battaglie partitiche,
  • non cediamo alla tentazione di acquisire visibilità e profilo,
  • non subordiniamo il lavoro politico alla ricerca della medaglia al petto,

o a vincere le prossime elezioni non sarà nessuno di noi,

non sarà nessun partito, se non quello della lista senza intestazione oppure – ed è senza dubbio lo scenario peggiore – quello dell’astensione, dell’indifferenza.

Le persone ci guardano e sta a noi, e a noi soltando, decidere se dare loro motivo o meno di credere nella politica, nelle Istituzioni, nella democrazia stessa. Una democrazia come detto sempre necessaria ma mai scontata, e della cui credibilità e affidabilità siamo tutti responsabili, nessuno escluso.  

Buon lavoro e, per l’ultima volta, “Uno per tutti, tutti per uno”.

Nicola Pini
2 maggio 2022