Il giudice, il capogruppo e il consigliere federale

La sentenza del 26 luglio del Tribunale federale relativa alla consegna alla Francia dei dati riguardanti 40'000 conti bancari presso UBS di clienti francesi ha scatenato tutta una serie di prese di posizione da parte della politica di casa nostra, sia a Nord che a Sud delle Alpi.

Nei confronti del giudice di area democentrista, reo di essere stato l’ago della bilancia nell’accoglimento della richiesta francese, si è scagliato – tra gli altri – il capogruppo UDC alle Camere federali Thomas Aeschi, che è arrivato addirittura a chiedersi se si debbano rieleggere giudici federali del “suo partito” quando gli stessi non rappresenterebbero in alcun modo il patrimonio intellettuale di stampo UDC. Trattare un giudice federale come se fosse un funzionario di partito, al quale richiedere osservanza a un non meglio precisato patrimonio intellettuale e al quale imporre di far di sì o di no con la testolina quando lo detta la linea di Partito, è un atteggiamento che non può che preoccupare.

D’accordo, le elezioni federali si avvicinano, ma a tutto c’è un limite e bene ha dunque fatto l’Associazione svizzera dei magistrati a dichiararsi preoccupata per le minacce proferite da rappresentanti di diversi partiti politici nei confronti del giudice federale Donzallaz. D’altronde, il principio della separazione dei poteri, che pretende tra l’altro il rispetto dell’indipendenza dei giudici dal potere politico, è e deve restare uno dei capisaldi di uno Stato di diritto e democratico come il nostro. Infischiarsene con dichiarazioni come quelle proferite dal capogruppo UDC significa, né più né meno, misconoscere che ognuno di noi ha il diritto di veder deciso il proprio caso da un giudice che opera unicamente con il metro delle leggi, senza interferenze di sorta, tanto meno dettate dalla linea di questo o di quel Partito.

Giulio Andreotti amava dire che le sentenze dei giudici non si discutono, ma si appellano. La sentenza del 26 luglio della nostra massima Istanza giudicante può certamente far eccezione, essendo appunto definitiva. Importante è però che il commento sia serio e che si confronti con le motivazioni che hanno spinto a quel risultato. Rapportarsi con la stessa – cosa che non intendo fare, conoscendone solo il risultato – non può limitarsi a qualche esternazione stizzita e fuori luogo, ma significa misurare quanto i rigorosi criteri in tema di evasione delle domande di assistenza siano stati considerati, criteri ben riportati in un contributo di Giovanni Merlini del 6 agosto apparso su queste colonne. Insomma, sperando che con la sentenza di fine luglio non si sia caduti in quella “terribile situazione” descritta da Sofocle in cui il giudice equo ha dato una sentenza iniqua, la politica intera dovrebbe comunque imparare a garantire pieno rispetto per l’indipendenza del potere giudiziario e in concreto di quei 5 giudici federali, sia che facciano parte dei 3 (i favorevoli alla richiesta francese) o dei 2 (i contrari).

Forse il capogruppo del primo Partito svizzero, al posto di puntare il mirino su un giudice federale, dovrebbe invece maggiormente interessarsi ai colpi di sonno del suo Consigliere federale Ueli Maurer, così che gli eccessi di zelo dell’Amministrazione federale delle contribuzioni vengano bloccati sul nascere, senza che si vada a ricorrere contro una sentenza come quella del Tribunale amministrativo federale che respingeva la richiesta francese e che alla nostra piazza finanziaria andava più che bene.

Stefano Steiger, candidato al Consiglio nazionale, LaRegione, 9 agosto 2019